Miss Joni Mitchell. Vita e musica di una grande artista

Joni Mitchell ha un particolare malanimo nei confronti dei biografi. Pochi anni fa un intervistatore ha visto nel salotto della sua casa californiana, usato come fermaporte, un libro su di lei. “Non c’è magia in questi libri”, si è lamentata. “Non sono autorizzati, e sono pieni di supposizioni ridicole e pettegolezzi”.
Questa è la prima biografia italiana di Joni Mitchell. Non autorizzata ma, auspicabilmente, non riempita di supposizioni ridicole e pettegolezzi.
Piuttosto, un atto d’amore verso un’artista che ha composto musica straordinaria, pur definendosi “una pittrice solitaria”. Fuori, o meglio al di sopra delle categorie in cui generalmente incaselliamo chi fa musica. Comparata sovente con Bob Dylan o Leonard Cohen. Che ha conquistato nel tempo molti cuori: con la musica, con il coraggio di scelte mai facili, in una vita di certo non banale tra successi, delusioni, arte, sempre con una straordinaria capacità di superare i (tanti) momenti difficili.
Una biografia che cerca di capire come gli artisti della musica che ancora negli anni Settanta si definiva “giovane” hanno influenzato generazioni di ragazze e ragazzi, poi donne e uomini, inevitabilmente crescendo e invecchiando con noi.
Con un’intervista esclusiva a Carlo Massarini

Sul sito dell’editore Arcana

L’intervista a CorriereAL
La notizia su Radio Gold
La recensione di Attilio Pasetto su Avanti!
Il podcast di Radio Rock, Gagarin con Tatiana Fabbrizio e Marco Muscarà
L’intervista a Radio Gold per la presentazione a Visioni_47

Rumore, settembre 2023. La recensione di Nicholas David Altea
La Stampa, 20 maggio 2023

 

 

 

 

 

 

 

Ninnoli e una vecchia Subaru. La musica del 2023

Ho tutti questi piccoli ninnoli, per casa. E mi son trovata a pensare in modo morboso: cosa succederà di queste cose dopo che sarò morta? Quali sono i sentimenti e le idee che per me sono importanti?

Joy Oladokun è una statunitense di prima generazione, ” a queer Black person” cresciuta in Arizona. Il disco uscito verso la fine di aprile, poco dopo il suo trentunesimo compleanno, si chiama ‘Proof of life‘ e lei spera che possa accompagnare “tutti quelli che si sentono normali e hanno bisogno di un po’ di stimolo musicale per affrontare le giornate”. Be’, funziona.

Con una vecchia Subaru senza climatizzatore, e una patente presa da poco, Charlotte Cornfield ha guidato per sette ore verso sud per incontrare un produttore che non conosceva. Lei è canadese di Toronto, e in Canada è tornata dopo sei giorni nella Hudson Valley. Con un disco nuovo, che si chiama ‘Could Have Done Anything‘, ed è stupendo.

Nei juke-box ci mettevano i 45 giri e alcuni li facevano apposta, accoppiando due canzoni anche se l’artista non era lo stesso (almeno, io me la ricordo così).
Inserite la moneta:
A1-A2 What Was I Made For? di Billie Eilish e A&W di Lana Del Rey (lo so, lo so, la mia passione per lei è perversa)
B1-B2 I Inside the Old I Dying di PJ Harvey e Sister Tilly di Natalie Merchant  (anche l’ultimo concerto che ho visto e l’ultimo che NON ho visto)
C1-C2 Taking Things For Granted e Trying di Joy Oladokun
D1-D2 The Narcissist dei Blur e Smoke Detector dei The National (ecco, se avessi solo una moneta, sceglierei una di queste due)
E1-E2 Nothing Left To Lose e Run A Red Light di Everything But The Girl (oooh, la voce di Tracey Thorn)
F1-F2 Vampire e Bad Idea Right? di Olivia Rodrigo (il suo concerto Tiny Desk è da vedere, grande talento)
G1-G2 pawnshop e therapy di Kara Jackson (poetessa, il suo idolo è Joni Mitchell, al suo disco di esordio, sorprendente)
H1-H2 Flowers di Miley Cyrus e Little Things di Jorja Smith (per fingermi moderno)
I1-I2 Have Fun! di CMAT e Go Dig My Grave di Lankum (non è stato un anno facile per l’Irlanda, maledizione)

Le altre volte che avevo fatto qualcosa di simile:
Saint Cloud, Stittsville, altri posti ed ellepì (2020)
La fine dell’estate (2018)
UMILE. (2017)
IN REVERSE (2014)

Warren, Patty e Roland

Il musicista noir Warren Zevon ha composto la canzone ‘Roland the Headless Thompson Gunner’ su un mercenario e la sua arma, insieme a David Lindell che era davvero stato mercenario e a metà degli anni settanta gestiva il Dubliner, un pub in Spagna dove Zevon e sua moglie Crystal erano in vacanza.
È l’ultima canzone che Zevon eseguirà in pubblico, nel 2002, ospite del suo grande amico David Letterman, quando era già prossimo alla morte, ammalato di mesotelioma.

L’ultima strofa della canzone dice:
In Ireland, in Lebanon, in Palestine and Berkeley
Patty Hearst heard the burst of Roland’s Thompson gun
and bought it
[In Irlanda, in Libano, in Palestina e a Berkeley
Patty Hearst ha sentito l’esplosione del fucile Thompson di Roland
e se l’è comprato]

Roland era il più coraggioso tra tutti i mercenari, dice la canzone. Quel figlio di troia di Van Owen, un altro mercenario, l’ha ammazzato a tradimento su ordine della Cia. Ma Roland pure senza testa ha continuato per anni a combattere, appunto in Irlanda, in Libano e così via fino a Berkeley.

L’ereditiera Patricia, detta Patty, Campbell Hearst è la nipote di William Randolph Hearst, il mogul dei media che ispirò Orson Welles per il protagonista di ‘Quarto potere’. Deve ancora compiere 20 anni quando il 4 febbraio 1974 la rapiscono appunto a Berkeley alcuni esponenti dell’Esercito di Liberazione Simbionese. Il nome, scelto dal fondatore Donald DeFreeze, viene da “simbiosi”. È un gruppo radicale, con appena una manciata di membri, e si è peraltro già inimicato buona parte del movimento quando nel 1973 ha assassinato Marcus Foster, provveditore scolastico di Oakland, uno dei pochissimi di colore.
DeFreeze, un evaso di Soledad, uno dei pochi esponenti di colore del gruppo, si è dato come nome di battaglia l’altisonante General Field Marshal Cinque.
Diventa l’amante della Hearst, pare. Comunque lei si fa fotografare con un mitra in mano (non un Thompson però) e la riprendono le camere di sorveglianza di una banca durante una rapina. Ha scelto il nome di battaglia Tania, un omaggio all’ultima compagna del Che. La storia dei Simbionesi ha una svolta tragica a metà maggio dello stesso 1974, quando la polizia circonda una loro casa sicura. Vengono sparati migliaia di colpi, sei membri del gruppo tra cui lo stesso DeFreeze muoiono.

“Tania” Patty Hearst assiste all’assedio e all’assalto in televisione. Rimarrà fuggitiva fino al settembre del 1975. Oggi dice di essere stata costretta a partecipare alle azioni del gruppo.
Warren Zevon è morto il 7 del mese di settembre del 2003. Un articolo nell’anniversario l’ha definito “principalmente un musicista da musicisti, venerato cioè da addetti ai lavori e impallinati ma praticamente sconosciuto dai più” (inutile aggiungere che qui si appartiene appieno alla categoria “impallinati”).

Arrivano le cinesi

Arrivano i cinesi
Son piccoli e veloci
Sorpassano gli incroci
Correndo a testa in giù*

Nel mese di settembre del 1993, in meno di una settimana tra mercoledì 8 e lunedì 13, sono le ragazze cinesi, e non i maschietti, a correre veloci. Sorpassando, pardon: surclassando anziché gli incroci, i record del mondo di fondo e mezzofondo. Succede ai giochi nazionali, e i record sono quelli dei 1500, dei 3000 metri e dei 10 chilometri. Quest’ultimo viene abbassato di botto di 42”, e la neo-primatista si è migliorata in un anno di tre minuti, ha tolto cioè il dieci percento al proprio personale, qualcosa di enorme. C’è chi sospetta persino che Wang Junxia abbia corso un giro in meno, ventiquattro invece di venticinque. Ormezzano su ‘La Stampa’, con la sua consueta capacità di leggere in modo originale, scrive che “sarà adesso inevitabile la profezia, da parte di molti, sulla donna che nello sport sta raggiungendo e addirittura superando l’uomo” anche perché la ventenne cinese ha corso più veloce di Paavo Nurmi, il fenomenale finlandese che dopo un secolo viene ancora considerato uno dei più grandi fondisti.
Certo, aggiunge g.p.o., ci sono vincoli oggettivi: “Si tratta di massa muscolare, di forza esplosiva, ottenibile dalla donna, e in maniera parziale, soltanto con assunzione di ormoni mascolinizzanti. È tutto chiaro, ma fa comodo giocare al Grande Pronostico. E lo si farà più che mai adesso, con la sindrome cinese: una nazione emergente, selezioni su oltre mezzo miliardo di donne (ma anche sospetto di doping, perché non dirlo?)”.

Personaggi balzacchiani
I primati a raffica sono così eclatanti che si fanno spazio anche tra le notizie dei nostri quotidiani non sportivi, il cui epicentro è ancora al palazzo di giustizia di Milano. Si scrive infatti soprattutto di Enimont, di Sergio Cusani che sta per andare a processo, viene definito “finanziere di area socialista” e “resta sicuramente in carcere” mentre per un vizio di forma viene annullato il mandato di cattura di Luigi Bisignani, uomo della comunicazione di Gardini: la sorte, sempre se vogliamo crederle, decide per Cusani e Bisignani due diversi destini. Cusani, e Carlo Sama genero Ferruzzi dicono di avere pagato anche giornalisti, e dal suo ‘Giornale’ Montanelli “in un corsivo non firmato, dice senza mezzi termini: fuori i nomi”. Un nome illustre lo fa, senza mezzi termini, il direttore del TG5 Enrico Mentana, parlando di Peppino Turani (che in effetti ha molto elogiato Raul Gardini e i Ferruzzi).
Sia Mentana sia Montanelli condividono, in quel settembre 1993, lo stesso editore Silvio Berlusconi. Di cui per il momento si scriveva ancora a proposito di televisioni. O di calcio, per le proteste dell’Olympique Marseille, escluso dalla nuova edizione della Coppa dei Campioni che aveva vinto a maggio proprio contro il Milan. OM escluso per pasticci combinati dal suo presidente Bernard Tapie, sovente definito il Berlusconi di Francia (anche loro avranno in sorte due diversi destini).
A proposito di grandi giornalisti e di Milano, si chiama ‘Metropolis’ il libro appena pubblicato da Giorgio Bocca, che in una lunga intervista spazia dai leghisti – con una certa bonomia per il loro ruolo antisistema: «grazie barbari» – al potere che sta finendo: “una folla di personaggi balzacchiani disseminata nelle trecento pagine: i servi e gli scrocconi della corte craxiana, le suore rosse nei quartieri della disperazione, i potenti finanzieri barricati nelle loro torri d’avorio, i gran borghesi in disarmo, ozianti fra picnic ecologici e cacce alle volpi, la «volpe di Paterno» don Salvatore Ligresti, il «condottiero di ventura» Antonio Di Pietro, il «principe triste» Giorgio Armani”.
Bocca dà un giudizio definitivo sugli anni ottanta da bere: “Non c’è stata soltanto la corruzione, ma anche una frequentazione fra politici e gangster. Per cui la famiglia di Bettino Craxi era amica di Lello Liguori, gestore del night-club «Il covo di Nord-Est», che a sua volta era amico del mafioso Nitto Santapaola e del gangster Angelo Epaminonda. Solo La Piovra televisiva, tutto sommato, l’aveva detto in maniera molto chiara”.
(Celebre è la storia del dono a Stefania Craxi di un cucciolo di leone da parte del “tebano” Epaminonda. Con consegna avvenuta appunto al Covo di Nord-Est.)

Ma’s Army
La grande apparizione nell’atletica mondiale delle fondiste cinesi della Ma’s Army, come venne chiamata, era avvenuta solo pochi mesi prima ai mondiali di Stoccarda. Ma Junren, discusso coach, quasi cinquantenne, senza esperienza atletica, fumatore incallito, si era presentato là con nove atlete, tutte sorvegliate, tutte con i capelli tagliati corti, tutte sottoposte ad allenamenti durissimi: davvero davano l’impressione di un esercito, e Ma ne era l’indiscusso signore. Pochi conoscevano le sue atlete, ma lui pronosticò che avrebbero vinto 1500, 3000 e 10.000. Così avvenne.
Poi ci furono gli incredibili risultati dei campionati cinesi di settembre.
Il record straordinario dei 10.000 di Wang Junxia è stato battuto solo dopo ventitré anni, nel 2016. Mentre è ancora suo quello dei 3000 stabilito quattro soli giorni dopo, questa volta migliorando il precedente di dieci secondi. In due giorni, tra qualificazioni e finale dei 3000, tre diverse atlete hanno stabilito i cinque migliori tempi all-time, e una quarta loro connazionale è entrata nella top-ten.
Aggiungiamo i record mondiali dei 1500 nella stessa manifestazione. L’assoluto di Qu Yunxia che durerà ventidue anni, e il giovanile di Wang Yuan.
Tutte atlete provenienti dalla stessa provincia di Liaoning, in quella che chiamavamo Manciuria. Tutte con lo stesso allenatore. I sospetti, come facile immaginare, non mancarono.
Ne scrisse pure Pietro Mennea: “Questo improvviso apparire delle cinesi come grandi protagoniste ha fatto gridare allo scandalo molti addetti ai lavori, offrendo comunque due motivi sui quali riflettere: 1) perché sono salite alla ribalta soltanto le donne, mentre gli uomini sono completamente assenti? 2) perché, se i cinesi sono così progrediti nelle metodologie d’allenamento, migliorano i record solo nel mezzofondo femminile e non in altre specialità? Fino a prova contraria, ritengo che si debba credere a questi record e alla buona fede delle atlete.
Pochi condivisero la filosofica indulgenza di Pietruzzo.
Ma Junren, l’allenatore delle ragazze, si difese con forza dalle accuse di doping. I record venivano battuti, ribatté, grazie agli allenamenti, al sangue di tartaruga bevuto dalle ragazze, e all’assunzione del Cordyceps sinensis, cui sono attribuite proprietà tonico-rinvigorenti, detto “fungo del bruco” per ragioni discretamente disgustose (che vi risparmiamo).
Le fondiste cinesi però lo abbandonarono, e le loro prestazioni straordinarie finirono presto. Emergerà solo molti anni dopo una lettera – il giornalista che l’aveva ricevuta la tenne segreta per diciannove anni – scritta da Wang e altre nove atlete, che accusarono Ma di averle dopate.
Wang Junxia sarà l’unica ad avere ancora successo all’Olimpiade, con un oro e un argento nel 1996. Dopo quei Giochi si ritirerà. Ora vive negli Stati Uniti. Un giornalista definirà Wang e Qu Yunxia “chemical sisters”. Qu è ancora primatista mondiale dei 3000 metri, e quelle corse del settembre 1993 quando lei e la compatriota Zhang batterono il primato della distanza per tre volte in due giorni, rimangono la sua ultima impresa sportiva.
Si sa che dopo il suo ritiro Ma Junren si è dedicato ad allevare cani di razza, mastini tibetani.
Alle richieste ufficiali di chiarimenti sulle pratiche di doping la federazione cinese deve ancora rispondere.

 

* Leggiamo su un blog a proposito di ‘Arrivano i cinesi’: “Una (quasi) profetica canzone di Bruno Lauzi dedicata agli acritici estimatori della Cina di Mao Zedong, ma la garbata ironia venne da questi ultimi ben poco apprezzata. Erano gli anni (1968) della scoperta della Cina comunista come nuovo (presunto) paradiso di uguaglianza, potere al popolo e giustizia sociale”. Bruno Lauzi è stato un cantautore di grandissimo talento, spesso poco riconosciuto e ricordato. Ha scritto e interpretato canzoni stupende come ‘Ritornerai’ o ‘Il poeta’ ed è stato autore di capolavori per diverse interpreti, come ‘Piccolo uomo’ e ‘Almeno tu nell’universo’ per Mia Martini.

Niente si paragona a te

Da quando se ne è andato, lei può fare tutto quello che vuole, vedere chi le pare, mangiare in un bel ristorante ma niente, niente può consolarla, perché niente si paragona a te. È pure andata dal dottore, e indovinate che le ha detto? Le ha detto ragazza faresti meglio a divertirti, fai tutto quel che ti pare. Ma è uno stupido. Perché niente si paragona a te.
La canzone – si chiama Nothing Compares 2 U – sarebbe da volgere al maschile, perché l’aveva scritta quel genio di Prince. Noi l’abbiamo scoperta, amata, grazie al video in cui la interpretava, trenta e più anni fa, una ragazza irlandese con i capelli rasati, che ci guarda e la canta come se volesse accoltellarci, o una nostra carezza.
Si chiamava Sinead O’Connor, la ragazza che voleva accoltellarci, o una nostra carezza. È morta un mercoledì, il 26 del mese di luglio. La sua vita, prima e dopo quella canzone, è stata difficile, difficile.
Proprio quel mercoledì, poco prima di sapere che lei era morta, avevo postato su un social un video in cui la cantava a un programma tivù, commentando: una delle canzoni più belle mai scritte (e cantate). Ci ero capitato per le vie traverse tipiche dei social, a quel video, in effetti seguendo l’incantevole Susanna Hoffs e la storia di un’altra canzone famosa regalata (anzi, se dobbiamo credere a certo gossip, fu un equo scambio) da Prince: che di canzoni belle ne ha scritte, ma dovendo sceglierne una rimane quella cantata da Sinead. Perché niente si paragona a te.

Nel libro su Joni Mitchell ci sono un paio di storie che incrociano Sinead O’Connor.

Poco dopo l’abbattimento del muro di Berlino, lì organizzò un megaconcerto pieno di star l’ex Pink Floyd Roger Waters.
Secondo il racconto del produttore dello show, Tony Hollingsworth, il misogino Waters non avrebbe voluto artiste donne, lo convinsero citando Joni Mitchell che lui venerava. Joni accettò e cantò – non bene – ‘Goodbye Blue Sky’. Come le succedeva sempre più di frequente, non si trovò bene in compagnia dei tanti colleghi musicisti, parlerà di un gruppo di ragazzini delle scuole medie, mentre rimarrà colpita dal fatto che nell’incontro con Sinead O’Connor, di cui aveva stima, la cantante irlandese non smise di guardare per terra. A David Yaffe dirà, concentrata su quel particolare: “She had bare feet and was looking at them. She was digging her feet in the ground, never looking at me”.

Un’altra riguarda la canzone ‘The Magdalene Laundries‘, che sta in un disco degli anni novanta e mette i brividi. Le “maddalene” sono le povere ragazze che venivano rinchiuse in schiavitù nei conventi irlandesi, sovente a lavorare come lavandaie, sovente “colpevoli” di essere rimaste incinte (magari perché vittime di violenze), o a volte solo del modo in cui gli uomini le guardavano. Miss Joni pensava che Sinead O’Connor potesse interpretarla. Non sapeva che Sinead – lo racconterà in una lettera toccante – c’era stata davvero, quindicenne rinchiusa per diciotto mesi, proprio nel convento dove verranno trovate molte tombe di donne, tutte con inciso solo: Magdalene. Uno degli enormi dolori che la ragazza irlandese si è portata dietro fino a un mercoledì di luglio.

C46

Erano uscite in edicola quarant’anni fa, le cassette. Insieme a un libretto curato da personaggi leggendari, Bertoncelli, Guido Harari e via.
Una collana Fabbri che si chiamava ‘Rock. Storia e Musica‘. Adesso se ne trova di secondamano, pensa te.
Ne ho letto in un post social, cercato e trovato qualche cassetta che mi ha seguito in diversi traslochi, dopo avermi tenuto compagnia ai tempi dell’università, nell’autoradio dell’R5, facendomi scoprire tanta musica: bella, meno bella, originale, assortita.
Già, l’assortimento è la prima cosa che colpisce, in edicola una settimana dopo l’altro John McLaughlin e Ted Nugent, Donovan e gli Aerosmith, per dire.
Fianco a fianco nel mangianastri (poi nel walkman) qualcuno che come Dylan era già leggenda, con gli Strawbs o altri oggetti di culto.
Quasi tutte le cassette erano compilation, alcune prossime a un meglio-di (Bruce per esempio), altre immagino messe insieme con quanto disponibile per questioni di diritti (abbiamo detto James Taylor?)
Insomma, m’è venuta voglia di riascoltarli, per esempio riscoprendo quanto era bello il disco del 1976 di Joan Armatrading, uno dei pochi presentati integralmente, come per esempio era successo con la primissima uscita, naturalmente civetta, ‘Outlandos D’Amour‘ dei The Police.

E in un momento di lieve follia ho fatto una playlist con tutte le canzoni tutte di quelle uscite. Dura circa un giorno, manca solo Miss Joni, che come noto dalla piattaforma dove in molti ascoltiamo la musica se ne è andata.
Insomma, enjoy!

 

Più strano della gentilezza

Nick Cave nel dialogo affascinante con noi che intrattiene su The Red Hand Files, risponde a diverse lettere di nuovi ascoltatori chiedendoci di compilare una playlist in 15 canzoni, un Best of Nick Cave’ insomma. Ecco la mia banale playlist:

Gran figo, comunque

1) As I Sat Sadly by Her Side [non la canzone che ti aspetteresti per aprire un ‘Best of’, e infatti ho scelto di farlo in ordine alfabetico – no, non sono il primo -]
2) Deanna [la versione su ‘Live Seeds’]
3) Do You Love Me? [do you?]
4) From Her to Eternity [“the best early Bad Seeds song” scrive L’Uomo in persona. Chi sono io per contraddirlo?]
5) Galleon Ship [ora: c’è l’imbarazzo di ‘Ghosteen’, capolavoro per vox populi, ma anche disco che non è che ascolti guidando mentre torni a casa, la sera tardi]
6) Get Ready for Love [sempre pensato che “Love” (anche) qui significhi “Sex”]
7) Go Tell the Women [il progetto laterale Grinderman è consentito?]
8) Henry Lee [anche io avrei voluto baciare Polly Jean, ça va sans dire]
9) Higgs Boson Blues [sta andando giù a Geneva a far che? e Hannah Montana, poi?]
10) Into My Arms [aprile ‘997, entro in questo negozio di dischi – già, c’erano – a Parigi, dove potevi sentire le nuove uscite: “I don’t believe in an interventionist God”. oooh]
11) Jack The Ripper [la versione acustica su ‘B-sides…’]
12) Red Right Hand [scelta facile, lo so]
13) The Carny [questa canzone ti spaventerà più di un clown]
14) The Mercy Seat [la versione solo piano, da Letterman]
15) Tupelo [la prima volta che l’ho sentita ho pensato: troppe parole per una canzone che si chiama ‘Tupelo’]

In omaggio, un EP in cui lui fa canzoni di altri, dai:

1) Rainy Night In Soho [e il dio benedica Shane MacGowan: póg mo thóin]
2) Running Scared [una canzone melodrammatica e N.C. what else?]
3) Something’s Gotten Hold of My Heart [peccato solo non sia la versione italiana ‘Uomo non sai‘, testo di Mogol peraltro]
4) Stanger Than Kindness [che sta qui perché l’han scritta Blixa e Anita Lane. Il titolo della canzone è pazzesco, la canzone pure]

Guinnevere

È su tre donne che ho amato. Una era Christine Hinton, la ragazza che morì quando stava con me. Una è Joni Mitchell e l’altra non dico chi è.
(David Crosby)

Christine Hinton stava andando dal veterinario con il pullmino Volkswagen di David Crosby, un giorno alla fine di settembre del 1969. Portava il loro gatto. Che saltò sul sedile mentre lei guidava, pare. Christine perse il controllo, finì contro uno scuolabus. Aveva solo 21 anni. Graham Nash dirà che dopo quella tragedia Crosby non è più stato la stessa persona.

Joni Mitchell, bé, lei è Miss Joni, anche Santa-protettrice di questo TaxiGiallo, il cui conduttore le sta scrivendo una lunga lettera (d’amore, ça va sans dire). Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è lei quella delle tre che «disegna pentagrammi, la notte tardi, sul muro, quando pensa che nessuno stia guardando».

Il segreto sulla terza donna, quella che pare disegnasse pentagrammi, non è un segreto. Si sa chi è, lo ha confermato sua figlia in un post in cui ricorda David Crosby, morto nel mese di gennaio del 2023. Polly Parsons scrive che “nel 1966 mia mamma doveva sposare il dolce David, quando mio padre comparve e gliela rubò a un party, una notte. David poi scriverà ‘Guinnevere’ su di lei e Gram, tra le altre, scriverà ‘1000 Dollar Wedding‘. L’amore, la magia e le muse. Questa era l’aria che si respirava a Laurel Canyon negli anni ’60. Circondati dal profumo del franchincenso e della mirra e dal suono delle armonie vocali e delle chitarre acustiche. Eravamo sempre scalzi, felici e così pieni di vita.” La mamma di Polly, e sposa di Gram Parsons, si chiamava Nancy. Pare che, al famoso party, lui le abbia detto “ti stavo cercando da tanto tempo”, frase che una volta tanto funzionò (forse perché a dirla era stato Parsons).

 

E tutti stanno diventando grassi

Fotografie di Henry Diltz

Cass Elliot era, per dirla con Graham Nash, la Gertrude Stein del Laurel Canyon. Così si riprende anche il paragone tra la scena artistica della Parigi anni venti e la California di fine anni sessanta che sovente è stato fatto.
Quando Nash arrivò in California, Mama Cass –
née Ellen Naomi Cohen – aveva già avuto un enorme successo con i The Mamas and the Papas e la sua voce straordinaria era stata fondamentale per esempio in ‘California Dreamin’’ o in ‘Monday, Monday’.
Il verso “and no one’s getting fat, except Mama Cass” della loro ‘Creeque Alley’ oggi probabilmente scatenerebbe accuse di “body shaming”: Cass era alta circa un metro e sessantacinque e pesava più di cento chili. Lei sapeva bene cosa le persone pensavano vedendola, sarebbe ingenuo negarlo come continua a fare Mama Michelle (bella forza, lei con quell’aspetto da attrice di un film di Polanski). Anche nel lottare contro i luoghi comuni e le cattive abitudini, sconfiggendoli quando nello spettacolo quasi nessuno l’aveva fatto, sta la forza della sua breve, purtroppo, vita e carriera.
In effetti, proprio la presenza di quella ragazza grassa differenziava del tutto la band da altre attive in quel periodo, chiaramente non erano una risposta a Peter Paul and Mary nonostante i desiderata di Papa John Phillips, autoproclamato capo della band, forte della sua educazione militare e dello spirito imprenditoriale.
Proprio Cass, che all’inizio gli altri manco volevano, divenne la più nota e famosa dei quattro: il suo carisma emerse tanto per la magnetica presenza scenica quanto per lo straordinario canto da contralto.

Cass Elliot era, appunto, la Gertrude Stein del Laurel Canyon: molte fotografie che ritraggono i protagonisti di quella magica scena furono prese a casa sua. Chez Elliot iniziarono a trovarsi Crosby, Stills e Nash. Nel famoso scatto di Henry Diltz in cui Clapton guarda la mano sinistra di Joni Mitchell cercando di capire cosa diavolo stesse suonando, la bambina in primo piano è Owen, la figlia di Cass. Che nel frattempo aveva fatto un’altra cosa di grande coraggio, specie per quell’epoca: aveva una carriera di successo e intanto era una madre single – e lo era così tanto che sua figlia venne a sapere chi fosse il padre solo dopo decenni.

Cass Elliot con la figlia Owen sulla sua Norton Commando

Fu Cass Elliot a lasciare The Mamas and the Papas, che si sciolsero già nel 1968 dopo meno di tre anni di una carriera con straordinari successi. Si sentiva pronta per fare la solista, tra alti e bassi – e pericolose diete che incisero sulla sua salute –  arrivò al 1974. Ottenne un ingaggio per quindici giorni al Palladium di Londra, finalmente un momento di svolta per la sua carriera.
Dopo l’ultimo spettacolo le fecero una standing ovation, telefonò piena di gioia a Mama Michelle Phillips, e scrisse una dolcissima lettera a sua figlia “Owenski” (così la chiamava) che aveva sette anni.
Cass Elliot morì nel sonno a Londra, sola. Doveva ancora compiere trentatrè anni. Il suo cuore non resse. Per tanto tempo è circolata la leggenda che l’avesse soffocata un sandwich al prosciutto, ma non è vero. Vera, invece, la sorta di maledizione di quell’alloggio al 9 di Curzon Place nella zona di Mayfair. Lì morirà pochi anni dopo anche Keith Moon, batterista di The Who.

Finalmente Cass Elliot ha avuto la sua stella sulla Walk of Fame di Hollywood. Alla cerimonia c’erano un po’ di reduci, John B. Sebastian – lui pure citato in ‘Creeque Alley’ -, Stephen Stills, Mickey Dolenz, il fotografo Henry Diltz. C’era Mama Michelle Phillips, è rimasta solo lei della band. E c’era naturalmente Owen Elliot-Kugell, che molto si è battuta per questo riconoscimento alla madre persa troppo presto.